Pubblico impiego: impronte digitali in soffitta

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Fonte: Italia Oggi

La rilevazione biometrica delle presenze dei dipendenti pubblici è arrivata al capolinea, senza essere mai partita. L’articolo 1, commi 957 e 958, della Legge di Bilancio 2021 (legge 178/2020) cancella senza troppa gloria le previsioni contenute nella cosiddetta legge «Concretezza», spinta dall’allora ministro della Funzione Pubblica Giulia Bongiorno. Si tratta delle previsioni dell’articolo 2, commi da 1 a 4, della legge 56/2019, quelle che avrebbero, appunto, dovuto introdurre sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi, in sostituzione dei diversi sistemi di rilevazione automatica in uso, sulla base di un dpcm, però mai adottato. Infatti, le rilevazioni biometriche avrebbero dovuto ottenere il preventivo via libera da parte del Garante per la protezione dei dati personali, che, invece, reiteratamente ha espresso pareri molto motivati e contrari all’adozione del sistema, oggettivamente ed in modo plateale inconciliabili con le regole della privacy. Per un anno e mezzo, quindi, le previsioni che intendevano ulteriormente stringere le maglie già a suo tempo ben avvitate dalla riforma Brunetta, sono rimaste a far parlare inizialmente di sé, per poi sparire quasi dai radar. In effetti, norme tese ad imporre la rilevazione delle presenze, viste con lo sguardo di oggi, fortemente influenzato dalla pandemia e dalla conseguente diffusione del lavoro agile, appaiono qualcosa di arcaico e inconciliabile con una concezione corretta e utile dell’organizzazione.

Il lavoro agile, a causa del Covid-19, è diffusamente entrato a far parte degli ordinari strumenti di regolazione del rapporto di lavoro e, come noto, presuppone che la prestazione lavorativa non si svolga né in un luogo, né in un orario predeterminati; al contrario, lo smart working richiede, più ancora dell’attività tradizionale in presenza in sede, una chiara assegnazione di compiti da svolgere, misurabili ex post e disciplinati da chiare indicazioni operative e di ingaggio, fondate su un costruttivo rapporto organizzativo e di fiducia tra datore pubblico e dipendente. Proprio quel rapporto di fiducia che, invece, la legge «Concretezza» decretava sostanzialmente inesistente, tanto da pretendere oltre al tornello le impronte delle retine o digitali. È evidente che la pubblica amministrazione deve lottare strenuamente contro dipendenti infedeli e truffatori, rei di macchiarsi dell’inganno di lasciar credere di essere in servizio, attraverso timbrature false grazie anche a colleghi compiacenti. Altrettanto chiaro è che questa battaglia non si vince con i tornelli o le iridi: non basta essere certissimi che il lavoratore «è in un ufficio», perché è soprattutto necessario sapere quel che un dipendente fa tra una timbratura e l’altra. Se sono avvenuti casi clamorosi di decine o centinaia di assenze fraudolente dal servizio per mesi o anni, è perché nessuno evidentemente né sapeva quel che i dipendenti facevano, né aveva modo o interesse per controllarlo. L’assenteismo si combatte e l’efficienza si ottiene, invece, assegnando ai dipendenti azioni, compiti, funzioni e responsabilità chiare, rendicontabili e misurabili. Il lavoro agile ha aiutato a capire questo: conta soprattutto evidenziare quali specifici risultati ottenere, non la formalità della presenza in sede; e questo vale sia per il personale in smart working, sia per il personale in sede. La pandemia ha, quindi, mandato in definitiva obsolescenza l’idea delle timbrature con rilevazione biometrica. Con le norme inserite nella legge 178/2020 la ministra della p.a., Fabiana Dadone, non fa altro che prenderne atto, cancellando la norma e destinando il finanziamento di 35 milioni (per altro largamente insufficiente) a suo tempo destinato all’acquisizione degli strumenti, alla realizzazione dei concorsi unici o ad attività di formazione ed organizzazione flessibile del lavoro pubblico.

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