Assunzioni, aumenti delle P.O. ammissibili fuori dal tetto del trattamento accessorio

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Un Comune ha chiesto se un ente di piccole dimensioni e senza dirigenza, possa utilizzare tutto o parte del budget delle capacità assunzionali, quantificato dalla normativa vigente (Decreto ministeriale del 17 marzo 2020) superando il tetto dell’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017, per aumentare le risorse da destinare alle posizioni organizzative, con utilizzo di capacità assunzionali e contestuale equivalente riduzione delle stesse e se, tenuto conto dei limiti, sia possibile conferire una posizione organizzativa senza riconoscere neppure il minimo della retribuzione di posizione come prevista dall’articolo 15 del contratto del 21 maggio 2018.

La Corte non si è pronunciata sul secondo quesito riguardante l’interpretazione di norme del contratto, anche perché questa funzione spetta all’ARAN (d.lgs. 165/2001).

La sezione ha invece risposto al primo quesito ritenuto ammissibile, concernente l’interpretazione di una norma di contenimento della spesa di personale, cioè dell’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 75/2017 che ha disposto l’invarianza della spesa per il trattamento accessorio rispetto al 2016.

Questa norma qualificata di coordinamento della finanza pubblica, ha posto un limite all’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio, non distinguendo fra quelle a carico dei fondi per la contrattazione integrativa previsti dai contratto e quelle finanziate direttamente dal bilancio delle pubblica amministrazione. L’articolo 11-bis, comma 2, del decreto legge 135/2018, in deroga all’articolo 23, per i Comuni privi di dirigenza, ha previsto che l’invarianza della spesa non si applichi alle indennità dei titolari di posizioni organizzative, rientranti nell’articolo 13 e seguenti del contratto del 21 maggio 2018, limitatamente alla differenza tra gli importi già attribuiti alla data del 21 maggio 2018 e l’eventuale maggior valore riconosciuto successivamente alle posizioni già esistenti, ai sensi dell’articolo 15 dello stesso contratto.

L’articolo 33, comma 2, del decreto legge 34/2019 ha disposto, invece, che il limite al trattamento accessorio di previsto dall’articolo 23, sia adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per le posizioni organizzative, prendendo come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018. In attuazione dell’articolo 33, comma 2, è intervenuto il Dm 17 aprile 2020, che ha definito le capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei Comuni, a partire dal 20 aprile 2020.

Secondo la Corte di Cassazione il limite indicato dall’articolo 23 del decreto legislativo 75/2017, che fa riferimento all’anno 2016, dopo l’entrata in vigore dell’articolo 33 del decreto legge 34/2019, deve essere adeguato, aumentandolo o diminuendolo, in modo da assicurare l’invarianza nel tempo del valore medio pro-capite del 2018. In questo modo, superando definitivamente il limite del trattamento accessorio del 2016, e costruendone uno nuovo, a partire dal 2018, che garantisca il valore medio pro-capite. In caso di nuove assunzione, difatti, l’ammontare del trattamento accessorio deve crescere in proporzione al numero dei nuovi dipendenti. Qualora, invece, il numero dovesse diminuire non è possibile scendere al di sotto del valore-soglia del trattamento accessorio del 2016 previsto dall’articolo 23, che, pur rimanendo in vigore, non deve più essere considerato come valore assoluto, bensì come il limite minimo inderogabile.

Per la Corte poi rimane in vigore anche l’articolo 11-bis, comma 2, del decreto legge 135/2018, che ha consentito di non computare nel tetto del trattamento accessorio 2016 i differenziali degli incrementi degli importi delle retribuzioni delle posizioni organizzative degli enti privi di dirigenza che si siano avvalsi della facoltà di aumentare le stesse, facendo riferimento all’articolo 15 del Ccnl.

L’articolo 33, comma 2, del decreto legge 34/2018, ha consentito ai Comuni di aumentare il numero dei dipendenti in servizio in base a un parametro di virtuosità legato al rapporto fra spese di personale ed entrate correnti, concretamente declinato, per gli enti delle varie fasce demografiche, dal Dm del 17 marzo 2020. Per la Corte, tuttavia, questo nuovo sistema di quantificazione delle facoltà assunzionali non ha abrogato l’articolo 11-bis, comma 2, che ora deve essere riferito al combinato disposto degli articoli 23, comma 2, e 33, comma 2, che considera il tetto stabilito dalla prima disposizione come quello base, da adeguare, ma al di sotto del quale la pubblica amministrazione non può scendere.

Il quadro normativo previsto dall’articolo 11-bis prima del decreto legge 34/2019 è dunque rimasto invariato, motivo per cui la corte ha affermato che non deve essere computato nel nuovo tetto del trattamento accessorio, individuato mediante il coordinamento delle due richiamate disposizioni, il differenziale degli incrementi delle retribuzioni delle posizioni organizzative per gli enti che si siano avvalsi della facoltà di aumentarle in base all’articolo 15 del contratto.

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