A Regioni ed Enti locali il 39,5% dei fondi Recovery con l’incognita attuazione

Fonte: Il Sole 24 Ore

di GIANNI TROVATI

Si avvicina l’emanazione del decreto legge destinato a definire la governance del Piano di ripresa e resilienza. Attualmente, il Piano si articola in una serie di missioni e progetti che dovranno ricevere attuazione concreta, soprattutto alla luce del meccanismo di erogazione dei fondi in questione: lo Stato riceverà le risorse in base ai pagamenti effettivi e alla realizzazione dei progetti. Dunque, predisporre una macchina amministrativa e regolamentare incapace di portare a termine le iniziative vorrà dire, immancabilmente, condannare l’efficacia del Recovery Plan, soprattutto per quanto concerne gli investimenti a favore degli Enti locali.
Un numero lo spiega meglio di tutti. Gli enti territoriali avranno il ruolo di soggetti attuatori di investimenti per quasi 90 miliardi. Per la precisione, in base alla tabella presentata dal governo nel corso della Conferenza Unificata che ha sancito l’intesa sul Pnrr, si tratta di 87,4 miliardi. Cioè il 39,5% delle risorse mobilitate dal Piano.
La quota di interesse diretto degli enti territoriali illustra meglio di ogni dibattito una verità semplice. O si trovano meccanismi in grado di garantire con ragionevole certezza tempi di spesa umani e non biblici per i fondi collegati alle varie missioni, oppure il destino reale del Recovery Plan è segnato. E con lui le prospettive del Paese di superare i traumi prodotti dalla recessione ventennale prima e dal crollo economico da pandemia poi.
Il presidente dell’ANCI Antonio Decaro l’ha spiegato in tutte le salse nei giorni passati. «Se le regole restano quelle attuali, il 2026 non sarà l’anno in cui termineremo gli impegni di spesa». La conseguenza, ovvia, è che non arriveranno tutti i fondi del Recovery, che sono appunto subordinati alla rendicontazione sul rispetto dei cronoprogrammi concordati con la commissione Ue e con il Consiglio europeo.

Sul punto, a far tremare le amministrazioni locali è soprattutto una parola: «bandi». Non per un’allergia alla “concorrenza” fra progetti e fra amministrazioni. Il fatto è che «bandi» significa «decreti», spesso interministeriali. E decreti interministeriali significano mesi per la costruzione dei parametri, la definizione dei documenti necessari, il tira e molla per l’intesa nelle conferenze, Stato-Regioni e Unificata. E spesso contenziosi su questo o quel criterio che determina le assegnazioni.
L’alternativa, indicata dall’esperienza recente che ha superato con successo le perplessità iniziali è quella delle assegnazioni dirette, sulla falsariga del «modello spagnolo» che ha permesso alla spesa reale in conto capitale dei Comuni di crescere anche nel 2020 colpito dal Covid (+3,6%) rispetto a un 2019 nel quale già si era registrata un’impennata (+14,6%) sull’anno prima.
Nel documento presentato dalle Regioni si è sottolineata l’esigenza di «condividere al più presto i singoli progetti sottostanti a ciascuna missione e definire i soggetti attuatori». Il resto dovrebbe arrivare dal decreto Recovery in programma per metà maggio, che nelle intenzioni del ministro per la Pa Renato Brunetta dovrebbe cancellare i vecchi tetti al reclutamento e permettere la selezione rapida dei tecnici e degli esperti necessari a gestire gli investimenti. Per conoscere il destino del Pnrr non serviranno anni. Basteranno poche settimane.