Assunzioni, maggiori spese da recuperare entro il 2022

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Fonte: Italia Oggi

Per le assunzioni il regime transitorio è solo apparente e in parte controproducente. Pubblicata con grande ritardo, la circolare 13 maggio 2020, esplicativa del d.m. 17 marzo 2020 che attua il nuovo metodo di computo delle facoltà assunzionali, ha nella disciplina delle assunzioni attivate prima del 20 aprile 2020, data di entrata in vigore del decreto ministeriale, uno tra i punti più deboli. La circolare, allo scopo di regolare il passaggio al nuovo regime normativo, fornisce un’indicazione piuttosto contorta: con riferimento al solo anno 2020, possano esser fatte salve le procedure concorsuali già attivate, «purché siano state effettuate entro il 20 aprile le comunicazioni obbligatorie ex art. 34-bis della legge n. 165/2001». Ma, e qui subentrano i problemi, si aggiunge che la maggiore spesa di personale rispetto ai valori soglia, eventualmente scaturente dalla salvezza delle procedure assunzionali già avviate, «è consentita solo per l’anno 2020». Visto che il sistema prevede a regime di determinare le facoltà assunzionali in base al rapporto spesa di personale/ media triennale delle entrate correnti al netto del fondo crediti di dubbia esigibilità, l’unico modo per dare vita a un regime transitorio chiaro e reale sarebbe stato quello di escludere a regime, cioè per sempre, le spese attivate prima del 20 aprile 2020. Ma, la circolare precisa che «la possibilità di derogare transitoriamente, per far salve le procedure assunzionali in corso, ai valori di spesa derivanti dalle soglie è consentita nel primo anno di applicazione ma non negli anni successivi».

Quale la conseguenza? A partire dal 2022 la maggiore spesa rispetto a quella consentita dal nuovo sistema, conseguente a questo paradossale regime transitorio, dovrà essere riassorbita. Afferma la circolare, quindi, che successivamente al 2021 «nel procedere alle maggiori assunzioni, è necessaria una valutazione circa la capacità di rientro nei limiti di spesa del 2021 fissati dalla norma». Provando a spiegarlo in termini meno criptici, laddove le facoltà assunzionali di un comune, nel 2020, applicando le nuore regole fossero per 1.000 euro, e l’ente avvalendosi della deroga spenda, invece, 1.100, entro il 2022 quella maggiore spesa di pari a 100 andrà ridotta. Specie se la deroga abbia peggiorato la situazione del comune, facendolo transitare dalla prima fascia di virtuosità a quella dei comuni di seconda fascia, con valori soglia superiori a quelli indicati dalla Tabella 1 del dm 17/3/2020, ma inferiori a quelli della Tabella 3; oppure, per i comuni con valori soglia superiori a quelli della Tabella 3, se la deroga abbia ulteriormente peggiorato il valore soglia, invece di migliorarlo come imposto dalla norma. Le strade per rientrare da questa maggiore spesa non sono molte. I comuni con capacità assunzionali dovranno dimostrare di rinunciare a parte di esse. Chi non avesse capacità assunzionali dovrebbe incrementare le entrate o tagliare le spese di personale (col problema della loro tendenziale rigidità) di importo simmetrico.

Un modo, in sostanza, per spostare in là gli effetti di una maggiore spesa che, a ben vedere, non è per nulla coerente col nuovo sistema, come del resto accertato già dalla Corte dei conti (sezioni regionali di controllo per la Lombardia parere 74/2020 e per la Toscana, parere 61/2020), secondo la quale, a ben vedere, non c’è un vero regime transitorio dal vecchio al nuovo regime. Per altro, la circolare esordisce proprio in accordo con questa visione proposta dalla magistratura contabile: «il c.d. decreto Crescita (decreto-legge n. 34/2019), all’art. 33, ha introdotto una modifica significativa della disciplina relativa alle facoltà assunzionali dei comuni, prevedendo il superamento delle attuali regole fondate sul turnover e l’introduzione di un sistema maggiormente flessibile, basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale». Si ha la conferma che il precedente regime è da considerare del tutto superato e non più operante, salvo il tetto di spesa complessivo previsto dall’articolo 1, commi 557 e seguenti, della legge 296/2006, per altro agganciato ormai ad annualità lontanissime nel tempo (20112013 per gli enti con oltre 1.000 abitanti, addirittura il 2008 per quelli fi no a 1000 abitanti). Poiché la deroga alla spesa è solo facoltativa, come afferma la circolare, è opportuno che gli enti riflettano molto bene prima di avvalersi di una facoltà che potrebbe complicare di molto la gestione e i conti

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